A suo tempo Robert Brentano aveva osservato che l'assenza, negli archivi diocesani italiani, di registri vescovili (la documentazione delle attività dei presuli era infatti affidata ai notai pubblici) dimostrava la scarsa capacità dei vescovi stessi di esercitare un ruolo all'interno della società in cui erano immersi. Negli ultimi decenni sono state così condotte numerose ricerche volte non solo a far conoscere i registri effettivamente esistenti (molto più numerosi di quanto ritenesse Brentano), ma anche a investigarne le logiche di produzione e conservazione. E anche quando tali logiche testimoniano una capacità di governo imperfetta e incapace di reggere l'urto delle amministrazioni cittadine e regionali, non per questo i risultati degli studi sono privi di interesse.
Lo studio della documentazione medievale in registro conservata negli archivi delle città italiane non cessa infatti di dare risultati, anche quando le carte sembrano, a una prima occhiata, riportare solo arida documentazione amministrativa. Nella collana della Deputazione di storia patria per le Venezie, Alfredo Michielin - già curatore di volumi della serie "Fonti per la storia della Terraferma veneta" relativi a Treviso e al suo territorio - trascrive l'articolato contenuto del codice pergamenaceo noto come "Liber Maximus A". Non vi sono però solo 500 pagine di documenti utili a conoscere la storia del patrimonio immobiliare del capitolo della cattedrale di Treviso; vi è anche una ampia introduzione dotata di proprio titolo, I documenti antichi del Capitolo di Treviso (secoli XII-XIV) tra dominazione scaligera e veneziana (1335/1346), che fornisce al lettore sia una contestualizzazione storica e archivistica, sia una più ampia riflessione circa modi e momenti di redazione dei fascicoli del codice, in dialogo e discussione anche con coloro che si sono dedicati in precedenza alla stessa unità archivistica (si cita in particolare un articolo di Gabriele Giusto uscito su "Studi Veneziani" nel 2014).
Il codice edito e studiato dal volume si compone di un bifolio iniziale, dieci senioni acarnari e un quinterno, per un totale di 130 fogli di pergamena di grande formato (circa 58 x 40 cm). La redazione fu avviata nel 1335 con la trascrizione, in ordine topografico, di circa 300 documenti risalenti soprattutto al XII e XIII secolo (il più antico è del 1098) che attestavano diritti e modalità di gestione dei beni fondiari del capitolo trevigiano. L'operazione di selezione e trascrizione, condotta da tre distinte équipes di notai, fu però sospesa ben presto, lasciando inspiegabilmente incompiuta persino l'opera di autenticazione. I singoli fascicoli erano di per sé aperti a integrazioni ed avevano dunque ampi spazi liberi; tre di essi furono usati nel febbraio 1346 per trascrivervi una quarantina di imbreviature notarili del periodo 1305-1314: anche in questo caso, un'operazione interrotta senza motivi apparenti.
Coesistevano così, sugli stessi fogli, logiche di conservazione diverse: un "cambio di destinazione d'uso" (45) per cui quello che era stato un cartulario organizzato su base topografica e rivolto pragmaticamente alla difesa dei beni fondiari (anche per il tramite di documenti vecchi di più di due secoli) divenne un "ricovero di scritture correnti d'ufficio", utile a conservare in modo completo le imbreviature di un notaio defunto risalenti a trenta-quaranta anni prima. Nei decenni immediatamente seguenti i fascicoli in questione furono definitivamente assemblati in un codice, i cui spazi liberi furono ancora occupati, fino al XVI secolo, da trascrizioni di altri documenti. L'esistenza di indici e repertori mostra come nel tempo il pervetustus apographus abbia continuato a ricevere notevole attenzione.
Le due opere di trascrizione trecentesche, svolte sugli stessi fascicoli a distanza relativamente ravvicinata, furono espressioni diverse dello sforzo (anzi, come dice con enfasi il titolo di uno dei paragrafi [35], dell'ultimo sforzo) compiuto dal capitolo della cattedrale di Treviso per mantenere la propria autonomia amministrativa. In quegli anni infatti beni e diritti accumulati nei secoli precedenti venivano erosi o sequestrati dalle amministrazioni delle città dominanti, la Verona scaligera nel 1329 e la Repubblica di Venezia dopo il 1339; è verosimile che tali passaggi di regime siano stati all'origine delle due fasi principali di redazione del cartulario.
Secondo il curatore, venne preso ad esempio quanto era stato fatto nei decenni precedenti dal comune e dall'episcopio, mentre non c'è motivo di ritenere che la mappatura del patrimonio capitolare trevigiano sia stata voluta da un agente esterno. Le due interruzioni restano però senza spiegazione e vanno genericamente ricondotte alla fatica di dare continuità a una gestione amministrativa ordinata. Si può aggiungere che, a partire dalla seconda metà del Trecento, cominciò la serie dei registri cartacei (Actorum) e, con essa, si avviò un modo diverso di conservare la documentazione utile alla gestione dei beni.
Il volume curato da Michielin interessa prima di tutto chi si dedica alla storia locale trevigiana o ai patrimoni ecclesiastici nel pieno e tardo medioevo; esso merita però di essere segnalato perché mostra come anche in pieno Trecento il clero di una cattedrale italiana fosse impegnato in operazioni (per quanto, come si è detto, sostanzialmente fallimentari) di rilettura e conservazione selettiva della propria documentazione. I confronti presentati nell'introduzione sono spesso riferiti all'ambito veneto, anche quando non sarebbero mancate altre possibilità di raffronto: il giudizio complessivo sul caso non sarebbe però stato diverso.
L'edizione appare ben fatta, anche se si è scelto di non distinguere tipograficamente regesto, apparato, testo e note (si usa lo stesso corpo); le note paleografiche sono poste non al termine di ogni documento, ma a piè di pagina, con numerazione progressiva (giungendo fino alle quattro cifre!). Vi sono gli indici dei notai rogatari, la tabella riepilogativa dei 334 documenti in ordine cronologico, l'indice dei nomi di persona e l'indice dei nomi di luogo, con speciale attenzione alla toponomastica suburbana ed urbana di Treviso; manca invece un apparato di carte geografiche e topografiche che avrebbe facilitato la comprensione del contesto territoriale. Vi sono, a pp. 61-73, tredici tavole che rappresentano alcune pagine del codice in questione; peccato che siano state tenute distinte dall'edizione e siano dunque lontane dalle rispettive trascrizioni.
Il volume si presenta dunque come un lavoro ben fatto e sostanzialmente completo dal punto di vista diplomatico, anche se il lettore avrebbe forse atteso pure qualche approfondimento in più sui tanti contenuti che emergono dalla documentazione (peraltro in alcune delle pagine introduttive si trova una riflessione sulle forme di gestione del patrimonio fondiario). A tali approfondimenti altri potranno però dedicarsi proprio partendo da questa solida base.
Alfredo Michielin (a cura di): Il Liber Maximus A del Capitolo cattedrale di Treviso (= Testi. Deputazione di Storia Patria per le Venezie; 5), Roma: Viella 2023, 652 S., ISBN 979-12-5469-395-7, EUR 70,00
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